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Una tradizione millenaria

La lunga storia dell'erboristeria

 

L’utilizzo delle erbe aromatiche da parte dell’uomo si perde nella notte dei tempi. Basti pensare che nella sepoltura di un uomo di Neanderthal vissuto 60.000 anni fa gli archeologi hanno rinvenuto pollini di due piante dalle note proprietà terapeutiche: l’achillea e il malvone. Gli uomini primitivi utilizzavano molte piante officinali selvatiche e usavano insaporire il cibo con foglie, radici e semi aromatici. L’osservazione della natura, unita all’esperienza delle generazioni precedenti, avevano fornito loro una valida conoscenza delle piante spontanee. Nelle sepolture dei villaggi di palafitte del Neolitico sono stati trovati semi di papavero, di angelica e di cumino. Una delle prime testimonianze scritte sull’impiego delle erbe è il Pen Ts’ao Ching (attribuito all’imperatore cinese Shen-nung vissuto nel III millennio a.C.), in cui sono riportate le virtù di 366 piante, tra cui il ginseng, il rabarbaro e la canapa. Le nozioni in materia si diffusero verso Occidente e furono acquisite da Sumeri ed Egizi, che le integrarono e ampliarono con le loro conoscenze, come si evince da numerosi documenti scritti (tavolette d’argilla e papiri) giunti fino a noi. Molte delle piante medicinali e aromatiche coltivate anticamente in India, Egitto e Mesopotamia svolgono ancora oggi un ruolo di primo piano in cucina e in erboristeria: tra le altre, timo, cumino, alloro, aneto e finocchio.

DA IPPOCRATE A PARACELSO

Lo sviluppo delle relazioni commerciali e culturali tra le civiltà consentì non solo un intenso scambio di informazioni nel campo delle erbe, ma anche l’importazione dall’Oriente di molte specie che oggi fanno parte del patrimonio erboristico occidentale. I Greci svolsero un ruolo fondamentale nel tramandare le conoscenze sulle erbe aromatiche e medicinali. Il più antico erbario greco di cui abbiamo conoscenza fu compilato da Diocle di Caristo, allievo di Aristotele, nel IV secolo a.C., ma la storia ricorda soprattutto la figura di Ippocrate (460-370 a.C.), grazie al quale la medicina uscì dalla sfera della superstizione per diventare scienza empirica. Egli compilò un elenco di 400 piante medicinali e aromatiche, tra cui il ginepro, il timo e l’aglio. Dioscoride, vissuto nel I secolo d.C., nella sua fondamentale opera Materia medica descrisse circa 600 erbe, molte delle quali tuttora comprese nella moderna farmacopea. Le nozioni tramandate da Ippocrate furono riprese in epoca romana da Galeno (121-180 d.C.), medico e amico dell’imperatore Marco Aurelio. Dal suo nome deriva l’aggettivo “galenico”, che designa una preparazione medicinale composta da sostanze organiche naturali. Le opere di Galeno furono testi di riferimento fondamentali fino al XVI secolo, cioè fino all’avvento di Paracelso (1493-1541), il medico e alchimisia svizzero che può essere considerato il primo erborista e farmacista moderno, in quanto studiò sistematicamente gli effetti terapeutici delle sostanze ricavate dalle piante.

SCIENZA MEDICA E RIMEDI CASALINGHI

Prendendo in considerazione tempi relativamente più recenti (siamo nel XVII secolo), occorre citare l’erbario del farmacista inglese Nicolas Culpeper, pubblicato nel 1652, che può essere reputato rivoluzionario perché l’autore per la prima volta considerò come equivalenti la fitoterapia “ufficiale” e quella popolare. In pratica Nicolas Culpeper assimilava il sapere di medici e farmacisti a quello tipicamente femminile, casalingo, tramandato oralmente di madre in figlia e applicato in modo empirico, cosa che gli valse l’epitetodi “ignorante” da parte dei medici suoi contemporanei. Il decotto di alloro e limone contro l’indigestione, la pappa di semi di lino per curare la tosse, il decotto di salvia per depurare il fegato dopo un pasto troppo abbondante sono solo alcuni esempi di rimedi popolari a base di erbe aromatiche (che sono tutte anche medicinali), entrate a far parte delle ricette di cucina, certamente per dare sapore, ma anche per prevenire e, se necessario, curare eventuali disturbi dell’organismo. Così le nostre bisnonne coltivavano nel giardino, nell’orto o anche soltanto in una cassetta sul balcone, alcune delle erbe che da qualche millennio accompagnano l’uomo e lo aiutano a vivere meglio. Fino all’inizio del XX secolo le conoscenze sulle erbe officinali e aromatiche furono tramandate, come abbiamo visto, per via orale o per iscritto, senza soluzione di continuità. Talvolta le informazioni mediche e botaniche si mescolavano a credenze antichissime, a superstizioni e a tradizioni magico-religiose; nonostante ciò gli uomini riuscivano, nella maggior parte dei casi, a utilizzare quotidianamente tali erbe con saggezza e buoni risultati. D’altro canto conviene riflettere sul fatto che fino a poco più di un secolo fa esse erano l’unica fonte di “farmaci” per l’umanità e che quest’ultima è sopravvissuta millenni con l’ausilio della sola fitoterapia, malgrado gli inevitabili errori. Ma le cose erano destinate a cambiare.

UN PROGRESSO EFFIMERO
Nel XX secolo, con l’avvento dell’era industriale e tecnologica, la tradizione erboristica popolare si interruppe e molte ricette finirono del dimeticatoio. Per un cinquantennio (all’incirca dagli anni Venti agli anni Settanta) medici e farmacisti pensarono di poter fare a meno di rimedi tanto “antiquati” e approssimativi come quelli ottenuti dalle erbe. La ricerca chimica impose pillole, sciroppi e fiale intramuscolo, che avevano certamente un effetto più rapido rispetto ai preparati erboristici, ma non sempre privo di nocivi effetti collaterali. Era iniziata l’era dei farmaci di sintesi. Le cose cambiarono anche in cucina, e tra i prodotti dimenticati della natura vi fu anche una grande quantità di erbe. Anziché con il succo di barbabietola rossa, i cibi vennero colorati con preparati chimici; i bastoncini di vaniglia furono sostituiti dalla vanillina, economica si, ma prodotta sinteticamente. L’arte culinaria si impoverì, mentre i cibi in scatola e i surgelati semplificavano la vita, almeno apparentemente. Fatto in casa diventò sinonimo di “rozzo” e spesso anche di poco igienico. Gli uomini moderni stavano perdendo a poco a poco il contatto con la Natura. Solo negli anni Settanta si fece strada la consapevolezza che il progresso tecnologico portava con sé anche un deterioramento della qualità della vita. Milioni di persone si erano abituate a un consumo massiccio di farmaci di sintesi e dovevano fare i conti con spiacevoli effetti collaterali, contemporaneamente si andava sempre più evidenziando il fatto che gli alimenti pronti contenevano coloranti e conservanti dannosi per la salute. Di fronte a questa pericolosa deriva, molti a poco a poco hanno riscoperto i vantaggi delle erbe e, più in generale, di una vita maggiormente in sintonia con le leggi della Natura.

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